Tonnare indietro nel tempo
Storia, folclore e costume si intrecciano in un ordito sacro e selvaggio, festoso e sanguinario
Gaetano Basile
Dario Flaccovio Editore, 2012, p. 143
E’ importante che vengano concepiti e sottoposti all’attenzione del pubblico libri come quello in esame: passano in rassegna l’evoluzione del rapporto tra l’uomo ed il mare attraverso un arco di tempo estremamente lungo.
Permettono quindi di comprendere come si sia pervenuti alla situazione attuale e quali potrebbero esserne le evoluzioni future, in assenza od in presenza di misure correttive, oltre a raccontare una storia collettiva di grande fascino.
Emerge chiaramente dalla lettura che attraversiamo una fase di rapidissimo depauperamento di risorse naturali preservate con scrupolo quasi religioso per migliaia di anni, dissipate colpevolmente nel giro di poche generazioni, oramai prossime a scomparire per sempre.
Apparentemente riduttiva, la storia dei fitti legame tra una isola relativamente piccola come la Sicilia ed una singola specie ittica, il tonno, riveste al contrario una importanza globale.
Potrebbe, dovrebbe, contribuire ad innescare un processo di riflessione ed infine di revisione che arresti il cupo desiderio di distruzione fine a se stessa che interromperà altrimenti per sempre il rapporto millenario tra l’uomo ed il mare.
La pesca o per meglio dire la caccia – viste le modalità tecniche – al tonno risale alla preistoria della Sicilia, ponte di collegamento sia materiale che ideale tra Europa, Africa ed Asia.
Nelle grotte dei Genovesi, nell’isola di Levanzo, furono scoperte nel 1950 importanti raffigurazioni rupestri risalenti al tardo paleolitico ed al neolitico (10.000-5.000 circa a.C.). Tra i numerosi animali rappresentati sembra indiscutibile che vi sia oltre al delfino anche il tonno.
E’ certo in ogni caso che nei reperti archeologici coevi non è infrequente il ritrovamento tra i resti di cucina di frammenti ossei di tonno.
E’ bello quindi «tonnare» indietro nel tempo, e scoprire l’indissolubile legame che ha legato per millenni al tonno i tonnaroti. Esempio sicuramente raro di gruppo umano che prende nome dall’essere animato di cui vive.
Si pensa che il nome greco thynnos derivi dalla radice thyo che ha il significato di infuriare, fare impeto. Un omaggio alla poderosa maestosità di quello che venne poi chiamato dalla scienza Thunnus thynnus.
Parlarono di lui naturalmente i grandi scienziati greci e venne raffigurato nell’arte, come nella celeberrima anfora del Museo Mandralisca di Cefalù (V secolo a. C.) che rappresenta il momento della vendita di un tonno all’acquirente finale.
Questi è raffigurato in veste di viandante. Nulla ci vieta di immaginare che sia giunto nella località di mare cui intendeva alludere l’artista attirato dalla fama di bontà del tonno locale. ll compratore mostra nella mano aperta una moneta d’argento, e Basile ci fa notare che questo indica che si trattava di merce pregiata.
Circa 100 anni dopo il prototipo degli scienziati, Aristotele, oltre a meravigliarsi di un esemplare di 20 talenti e 15 cubiti (405 kg per 3 metri) decanta infatti i pregi e la bontà del tonno.
Erano stati tuttavia i fenici, prima ancora dei greci, a osservare metodicamente le migrazioni dei tonni, installando in Sicilia e Calabria una serie di punti di osservazione costantemente presidiati, da dove poteva essere segnalato l’arrivo dei tonni richiamando e mettendo all’opera le squadre dei pescatori. Perché la pesca del tonno è sempre stata l’impegno di una intera collettività, assumendo proporzioni non a misura del singolo uomo, anche come durata. La tonnara fenicia di San Vito lo Capo rimase in funzione per oltre 2000 anni. Precisiamo con l’occasione che il termine tonnara identifica le strutture mediante le quali viene pescato il tonno ma col passare del tempo lo si è usato anche per le strutture di lavorazione e trattamento, che andrebbero invece chiamate bagli.
La civiltà romana, erede di quella greca, portò a livelli ancora più avanzati lo sfruttamento organizzato ma responsabile delle risorse marine, con attrezzature e metodi non dissimili da quelli moderni. Segue un lungo periodo su cui non abbiamo informazioni certe.
La civiltà araba, a partire dal secolo XI, torna a fornirci notizie. Muhammad al Idris, scienziato arabo al servizio del re normanno Ruggero, ci informa nel XII secolo dell’esistenza in Sicilia di sei zone ricche di tonnare, identificate naturalmente con le relative denominazioni delle località: Gafludi (Cefalù), Gazirat el Rahib (Favignana) e così via.
Terminata la dominazione araba la chiesa cattolica inizia a trarre gran parte delle sue risorse dalle concessioni delle tonnare ottenute dai governanti, facilitata nel compito dalla sovrabbondanza nel calendario di «giorni di magro» in cui era probito mangiare carne: 131 giorni.
Nel periodo della dominazione spagnola, nel XVII secolo, le tonnare vengono vendute ai privati rinsanguando le affaticate finanze iberiche. Il secolo successivo inizia il declino, causato dalla concorrenza del pescato nordico che è difficile contrastare anche (soprattutto?) a causa dalla esosità delle innumerevoli autorità locali che si sono man mano arrogate diritti a percentuali sul pescato o sul reddito: due pagine intere del libro sono dedicate all’elenco degli aventi diritto pubblicato nel «Libro delle Polizze della Tonnara di Levanzo»: conventi, magistrati, singoli abati come quello di di San Martino delle scale cui spettano «pesci 8 più rotoli 10 di uovo di tonno, rotoli 10 di musciamà» (salame di tonno ricavato dalla pregiata carne del ventre).
E’ questo tuttavia il periodo in cui la fama delle tonnare si allarga in tutta Europa e lo spettacolo della mattanza viene prescritto a chiunque sia in cerca di forti emozioni.
Dopo la riunificazione dell’Italia c’è un accenno di rinascita, destinato però a durare poco. Nel 1874 gli industriali Florio acquistano la tonnara di Favignana, probabilmente tuttora la più conosciuta, affidando all’architetto Almeyda il progetto dello stabilimento e della loro residenza.
Col passare degli anni la quantità dei tonni in arrivo dall’occidente cala, ed anche le loro dimensioni si riducono: sono soggetti a pesca intensiva ed indiscriminata già nelle acque dell’oceano. Il costo della manodopera umana intanto cresce esponenzialmente, rendendo sfavorevole il rapporto costo/convenienza. Negli ultimi tempi molte tonnare tentano di sopravvivere, o rinascere, trasformandosi in attrazione turistica.
La pesca del tonno inizia in Sicilia nel mese di maggio e prosegue fino in autunno. Il tonno primaverile, definito tonno da corsa, è nel pieno delle sue forze e del suo peso, e la sua carne è considerata di qualità superiore. Il tonno autunnale, tonno di ritorno, è stremato e la sua carne meno pregiata.
Avvistati i branchi in migrazione, penetrati nel mediterraneo per la stagione della riproduzione – ed è «in questo momento suo alto di vita che incontra la morte» commenta lo scrittore siciliano Vincenzo Consolo, vengono chiamati a raccolta i tonnaroti
Non prima però delle indispensabili cerimonie propiziatorie, laiche quanto religiose.
In probabile ricordo di arcaiche usanze fino al 1960 era costume che una prostituta partecipasse alle cerimonie con il compito di fecondare simbolicamente il mare immergendovisi e nelle memorie delle anziane ricorrono i nomi delle più avvenenti e ricercate.
Sul percorso dei branchi, immutati nei secoli, vengono stese delle reti di grande lunghezza che ne deviano il percorso incanalando i pesci in una serie di camere tra loro comunicanti ma apribili o chiudibili mediante cavi azionati dalle barche.
Nella camera finale, chiamata camera della morte, viene introdotto il numero di tonni giudicato sufficiente e la rete viene poi salpata, intonando antichissime nenie che si raccomandano al favore degli dei del momento, al comando assumma del capopesca che viene ancora definito, con parola araba, raìs.
A quel punto, mentre il mare ribolle per l’agitarsi frenetico dei tonni ormai a fior d’acqua ed in cerca di una impossibile via di fuga, inizia la mattanza (uccisione).
I faratici, tonnaroti specializzati in questo compito, arpionano le bestie e le issano a bordo, con le comprensibili difficoltà dovute alle grandi dimensioni e all’ingente peso dei pesci.
Si riferisce che nella tonnara di Puerto Palla, nella Sardegna sud occidentale, nel 1631 vennero catturati 7509 tonni, con numerosi esemplari tra i 600 ed i 700 kg ed uno straordinario di 850.
Il mare si arrossa per il sangue delle bestie: è uno spettacolo cruento, terribile ma necessario e malgrado tutto affascinante.
Per secoli ha attirato irresistibilmente numerosi viaggiatori provenienti soprattutto dal Nord Europa.
E’ evidente in qualsiasi filmato dei giorni nostri (vedere anche questo documentario fotografico sulla tonnara di Favignana) che il patrimonio ittico è allo stremo ed arrivano nel Mediterraneo e vengono qui pescati quasi solo esemplari troppo giovani.
Ancora negli anni 1950/1960 alcune tonnare venivano trasmesso in diretta dalla televisione italiana e nei ricordi dello scrivente le dimensioni dei tonni erano mediamente intorno ai due metri.
La vita media del tonno si dovrebbe aggirare intorno ai 18 anni: il libro riporta che ancora nell’epoca «dei lumi» il marchese di Villabianca considerava provvidenziali le tonnare in quanto «vivendo i tonni vita ben lunga» se si lasciassero morire di morte naturale le loro carcasse alla deriva nel mare «ammorberebbero tutto il Mediterraneo».
Il sovrasfruttamento e la decadenza hanno come già visto origini apparentemente remote: nel 1816 venivano contate 51 tonnare in Sicilia ognuna delle quali dava direttamente lavoro a circa 1000 persone.
Alla fine del secolo XIX si erano già dimezzate.
Eppure questi ultimi due secoli sono un periodo irrisorio rispetto ai millenni durante i quali l’uomo ha convissuto con il tonno, è vissuto con il tonno, ha tenuto con il tonno questo straordinario rapporto sacro e selvaggio, festoso e sanguinario.
Forse saremmo ancora in tempo per ravvederci e tornare indietro, ma a patto di non indugiare.
Numerose civiltà si sono succedute come abbiamo visto in Sicilia, ma ognuna di esse ha consegnato ai successori ancora intatto se non addirittura accresciuto il patrimonio che aveva trovato.
Non che mancassero conflitti, inevitabili in ogni passaggio epocale, e contrasti: risale al 1448, ci informa Basile, la prima lite giudiziaria tra tonnaroti e sciabacoti (pescatori che gettavano dalla riva la rete detta sciabakh, oggi conosciuta come sciabica). Questi ultimi erano accusati di spaventare i tonni con le loro luci facendoli deviare dal percorso. L’ultima vertenza in tribunale risale al 1950.
Eppure il benessere comune in passato ha sempre prevalso sull’interesse particolare.
Questo libro potrebbe essere uno dei tanti memento necessari ad ognuno di noi per mettersi all’opera.
Paolo Bottoni, September 2012