È quasi una battaglia epica. Da una parte Paolo Fanciulli a Talamone, meglio conosciuto come Paolo, il pescatore, da una parte, e dall’altra i pescherecci da traino di Porto di Santo Stefano vicino a Orbetello in Toscana, con il tacito consenso di alcune autorità locali. Sei perdonato se pensi istintivamente che sia una battaglia tra Davide e Golia. In più di un modo lo è. Paolo è determinato a salvare gli ecosistemi costieri, impiega mezzi e modi innovativi, e non si spaventa tanto da sottomettersi. I pescherecci, che operano spesso illegalmente di notte nelle immediate vicinanze della costa riservata ai pescatori artigianali, sembrano avere tutti i vantaggi dalla loro parte.
L’impegno instancabile di Paolo e, in questo caso, anche il crescente sostegno alla sua causa dell’opinione pubblica, fonte d’ispirazione della protezione della natura a beneficio dei tanti, ha fatto progressi e buone possibilità di vincere. Paolo dice che il mare ci dà cibo e svago, non possiamo solo estrarre e distruggere senza pensare, dobbiamo anche restituire alla natura in modo che possa continuare a provvedere a noi.
Abbiamo conosciuto Paolo prima attraverso documentari televisivi e articoli di giornale. La sua battaglia ha trovato il favore il sostegno che Mundus maris offre ad altri pescatori artigianali e l’attuazione delle ‘Linee guida per la pesca sostenibile e prospera su piccola scala’, adottate dal Comitato della pesca della FAO nel 2014. Durante la nostra Assemblea Generale del 2021 abbiamo promesso sostegno finanziario alla sua iniziativa, la Casa dei Pesci, e ci siamo recati in visita all’inizio di agosto per esplorare ulteriori collaborazioni.
Ma cominciamo dall’inizio, alla metà degli anni ’80, Paolo era un giovane. Da ragazzo, amava esplorare i relitti delle navi e la loro fauna e flora che vi trovavano rifugio dentro ed intorno. Successivamente, seguendo le orme del padre, è diventato un pescatore artigianale. Ma nonostante la minima protezione della fascia costiera a terra dovuta al Parco dell’Uccellina (Parco della Maremma), il mare costiero era in pessimo stato; non c’era quasi nessun pesce per sostenere lui e la famiglia. Si rese conto che la distruttiva pesca a strascico che si svolgeva clandestinamente quasi ogni notte entro le 3 miglia, zona solitamente riservata ai pescatori su piccola scala che, come lui, utilizzavano attrezzi passivi e selettivi, doveva cessare. La pesca a strascico trascina una rete pesante, spesso incatenata e con tavole rinforzate in metallo, attraverso il fondo dell’oceano appiattendo qualsiasi cosa sul suo cammino. Strappa dal fondale quindi non solo pesci e gamberetti, ma anche invertebrati marini non commestibili e vegetazione, come la preziosa posidonia. Tale pesca a strascico cancella tutte le strutture più piccole che sono habitat essenziali per molte specie, compresi i preziosi giovani di pesci, un intero ecosistema. Paolo paragona questo tipo di ‘pesca’ all’incendio della foresta per catturare un cinghiale. Per non parlare delle abissali emissioni di CO2 di questo tipo di pesca. Le recenti valutazioni delle emissioni di CO2 delle flotte da pesca globali, in particolare quelle che utilizzano attrezzi da traino o che praticano la pesca in acque lontane, sono molto più elevate di quanto ipotizzato in precedenza, nonostante le catture siano diminuite dalla metà degli anni ’90.
Cosa fare? Paolo ha provato tante cose, prima ha sporto tante denunce alla guardia costiera e ad altre autorità per poi scoprire che lo consideravano essere lui il piantagrane piuttosto che i pescherecci. Insieme ad altri piccoli pescatori, nel 1990 sfidò direttamente anche i pescherecci da traino tentando di bloccare il loro porto, Porto di Santo Stefano, solo per scoprire che i suoi avversari erano riusciti a fare pressioni sul mercato ittico locale per rifiutare i suoi prodotti. Aveva dunque bisogno di trovare altri modi per resistere. A quei tempi era vietato trasportare i turisti sui pescherecci, mentre l’agriturismo era già un modo consolidato di integrazione dei redditi rurali, con molta determinazione, riuscì a convincere le autorità competenti di Roma a consentire quello che poi chiamò ‘pescaturismo’. Questo gli permise di portare a bordo turisti per fargli sperimentare per un giorno la vita di un pescatore costiero, aiutando a tirare le reti da posta fissate la sera prima e ascoltare le storie sulla natura locale e le lotte per difenderla. Di sera, Paolo gestisce un ristorante a casa sua dove le persone possono mangiare il pesce appena pescato ed assaporare la differenza con i prodotti industriali o di alevamento.
Nel corso degli anni ha ospitato circa 20.000 persone nelle sue battute di pesca facendo molti amici e guadagnando sostenitori per la sua lotta. I ricordi della sua infanzia e l’amore per i relitti sono diventati un’ispirazione per mettere ostacoli [dissuasori] sul fondo del mare per impedire la pesca a strascico. Nel 2006 sono state create le condizioni legali e, grazie ad un progetto europeo, cento blocchi di cemento collegati da funi d’acciaio furono depositati in mare lungo la costa. Questi blocchi di cemento erano utili, ma non sufficientemente numerosi ed eccessivamente distanziati tra loro per essere del tutto efficaci. Qui entrò in gioco Ippolito Turco, che aveva partecipato ad una delle battute di pesca di Paolo.
Insieme ad altri amici decisero di formare un’associazione e creare un museo sottomarino con sculture in blocchi di marmo, uno materiale più stimolante che nacque circa 200 milioni di anni fa proprio dal mare. Cento di questi blocchi sono stati offerti dal proprietario della cava Michelangelo, a circa 200 km di distanza a Carrara, Franco Barattini, un altro partecipante alle battute di pesca di Paolo. Naque così la Casa dei Pesci.
Artisti famosi sono stati attratti dal progetto di trasformare questi blocchi di marmo, dalle 10 alle 15 tonnellate ciascuno, in sculture e quindi far proteggere le opere d’arte e diventare un tutt’uno con la natura offrendo un nuovo habitat per piante e animali.
Tra i primi a contribuire come volontari al progetto c’erano luminari come Emily Young dal Regno Unito, che ogni anno trascorre diversi mesi lavorando vicino a Carrara. Emily ha creato diversi Guardiani del mare; due di questi, il Guardiano piangente e il Guardiano giovane, facevano parte del primo lotto di sculture calate in mare, mentre un terzo Guardiano rimane a terra.
Altri artisti coinvolti sono Massimo Lippi (vedi sopra), Massimo Catalani, Marco Borgianni, Francesca Bonanni, John Cass, allievo di Emily Young, e altri ancora. Finora sono state sommerse ben 39 sculture, 19 nelle immediate vicinanze di Talamone poste come museo sottomarino facilmente accessibile e stimolante (vedi mappa a destra).
Paolo il pescatore e la Casa dei Pesci sono diventati nel frattempo celebrità ed intenzionati a raccogliere ulteriori fondi per realizzare altre sculture da sommergere in mare per completare la missione.
Un libro ben strutturato di due rinomati giornalisti italiani, Ilaria De Bernardis e Marco Santarelli, racconta i quattro decenni della sua lotta con termini vividi ed immagini suggestive. Il libro, pubblicato per la prima volta nel maggio 2021, è già alla seconda edizione, ed i ricavati alimentano la raccolta fondi del progetto. Una recensione del libro verrà presto pubblicata su questo sito, restate in attesa!
Il team della Casa dei Pesci è attualmente alla ricerca di case editrici interessate alle edizioni inglese e tedesca visto il particolare interesse dei turisti tedeschi per le battute di pesca di Paolo e la loro apertura alla tutela dell’ambiente. Suggerimenti su tutto ciò che aiuta la protezione dell’ecosistema costiero e marino in Toscana possono essere forniti a info@mundusmaris.org o contattando direttamente Casa dei Pesci.
Durante la visita a Paolo a Talamone di ritorno dalla sua quotidiana battuta di pesca con i turisti verso l’ora di pranzo, non si può non farsi contagiare dalla sua cordialità e disponibilità al dialogo. Presto abbiamo chiacchierato come se ci conoscessimo da molto tempo e abbiamo deciso che la cosa migliore sarebbe stata incontrarci di nuovo. Intanto il sole cocente gli ha ricordato che il pesce sul ghiaccio doveva essere trasferito in un frigorifero, pulito e lavorato, per la cena nel suo ristorante con giardino. Lì, ogni sera, continua a ripetere che il mare si salva a tavola, quando si impara a distinguere cosa sia l’alta qualità fresca della natura. Tra i tanti temi discussi, ci riferisce anche di aver osservato l’aumento dell’inquinamento da sapone in alcuni tratti costieri, aggiungendo una nuova minaccia all’ambiente marino, e suggerendo come soluzione ai suoi ospiti di usare meno sapone e detersivo in polvere.
Tra un sacco di altre faccende che deve svolgere ogni giorno, ci ha spiegato che ha bisogno di dormire un paio d’ore nel pomeriggio per poter uscire più tardi la notte con una piccola barca per sistemare le reti per il giorno successivo. Poi, la mattina presto, ripartiva con la successiva infornata dei suoi ospiti turistici, alzava le reti e ricominciava tutto da capo. Paolo ora ha sessant’anni e comincia a sentire la tensione; la sua è una vita appassionata, ma certamente non facile.
Tra una portata e l’altra della cena, abbiamo potuto continuare a scambiare e tramare ulteriormente sulle possibilità di collaborazione, intrattenendo i suoi circa 50 ospiti con storie sulle sfide e le opportunità della pesca artigianale in Italia, Senegal e altrove.
Paolo sta collaborando con gruppi di ricerca di Livorno e Siena per tenere tartarughe e delfini lontani dalle reti in modo che non vengano catturati accidentalmente e affoghino. La cosa buona è che grazie alla protezione già in atto e alla ridotta pesca a strascico, parte della fauna si sta riprendendo; i pesci sono diventati più abbondanti. Questo attira i delfini, che sono giocosi e amati dai turisti, ma essendo mammiferi marini mangiano molti pesci. Paolo è felice di rivederli e dice che dovrebbe esserci abbastanza pesce per delfini e per pescatori, a condizione che continuino a utilizzare maglie abbastanza larghe per catturare solo pesci adulti e le strutture sottomarine continuino a sviluppare e diversificare gli habitat protetti per aumentare abbondanza e biomassa.
Le reti sono dotate di ‘pinger’ (dissuasori acustici) che emettono suoni che non piacciono ai delfini, tenendoli alla larga dove continuano a chiacchiere tra membri del branco emettendo i loro tipici schiocchi. Tuttavia, per tenere lontane le tartarughe i segnali acustici non funzionano, ma i segnali luminosi sì; è più lavoro, ma una misura necessaria per proteggere le specie in via di estinzione.
Ora, immaginiamo cosa si potrebbe ottenere con più iniziative di questo tipo, trasformando il Mediterraneo da un mare impoverito, dove l’85% delle popolazioni ittiche è in cattive condizioni, in un mare sano con nuovamente una vita marina che produce anche pesce buono e conveniente per le popolazioni della riviera ed i milioni di turisti che lo visitano ogni anno.
Unisciti allo sforzo, verrai ricompensato con la rinascita della vita marina in Toscana e un senso di missione compiuta, grande soddisfazione!
Testo di Cornelia E Nauen, foto di Paolo Bottoni. Traduzione di Simona Boschetti